La Voce di Lovere
Anno 65, numero 6
Ottobre 2012




La Voce di Lovere, Ottobre 2012
Vita ecclesiale
Vangeli e storia - Salmi, inni e canti spirituali

Floriana  Stevanin
 
Vangeli e storia
Salmi, inni e canti spirituali


… I primi cristiani riuniti nella chiesa di Gerusalemme, giudei per nascita e tradizione, non interruppero l’uso di esprimere con il canto la lode a Dio; inneggiarono a Dio e a suo figlio Gesù proclamando la gioia per la realizzazione delle promesse divine, che confluivano tutte nella rivelazione della venuta del Messia, del Cristo.
Gesù, citando le profezie annunciate, le aveva riferite a se stesso, e questo suo rapporto con l’Antico Testamento venne subito recepito dagli Apostoli: Pietro, nel primo discorso tenuto in pubblico a Gerusalemme, inserì un inno composto da vari versetti biblici, come usavano fare gli Ebrei, e poi parte del salmo 16 di Davide e del salmo 110 che Gesù aveva cantato.
Anche nella sua prima lettera, Pietro fece ricorso ai testi dell’Antico Testamento per esprimere i concetti teologicamente più profondi e più radicati nella tradizione religiosa dei credenti.
È naturale supporre che i primi cristiani intonassero i salmi messianici conservandone la melodia originale, e componessero i testi dei nuovi canti rivestendoli poi con le melodie note; e forse proprio per questo alcune antiche melodie ebraiche sono giunte fino a noi, costituendo l’ossatura di molti canti “gregoriani”.
Come i loro padri, i primi cristiani cantavano inni a cori alterni, lo dice Plinio nella lettera scritta all’imperatore Traiano nel 112 dalla Bitinia: i cristiani “erano soliti, in un giorno stabilito, riunirsi prima dell’alba e innalzare un canto tra loro a cori alterni, a Cristo, quasi come a un dio”.
In un aspetto la prassi esecutiva degli inni cristiani si differenziava da quella ebraica: banditi gli strumenti musicali, dei quali invece gli Ebrei facevano amplissimo uso, il canto era affidato alla sola voce umana; scrive san Clemente d’Alessandria (150-212): “Noi non adoperiamo che un unico strumento, la parola di pace, con la quale adoriamo Dio, non l’antico salterio, i timpani, le trombe, i flauti”.
Sin dall’inizio il canto era parte integrante della liturgia e della preghiera delle comunità cristiane, come apprendiamo da san Paolo: non ubriacatevi di vino, raccomanda agli Efesini, ma abbandonatevi all’ebbrezza dello Spirito Santo, lasciando il cuore libero di esprimere con il canto la gioia e il grazie a Dio: “lasciatevi riempire di Spirito, intrattenendovi tra voi con salmi, inni e canti spirituali, cantando e salmeggiando nel vostro cuore al Signore, ringraziando sempre per tutto il Dio Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo” (5,19-20). Ai Colossesi scrive: quando vi riunite per le celebrazioni, “con salmi, inni e canti ispirati cantate a Dio nei vostri cuori con gratitudine…” (3,16).

Oltre ai tre grandi inni cristologici e a singole strofe di canti, che Paolo ha accolto nelle sue lettere dalla tradizione preesistente, la scienza linguistica ha isolato in esse frammenti di inni, precostituiti, riconoscibili per la presenza di assonanze, di rime, e quando la prosa lascia il posto ai ritmi della poesia greca.
L’aspetto “musicale” del linguaggio paolino aggiunge un elemento nuovo, inaspettato, alla comprensione del suo pensiero e del suo temperamento.
Nella prima lettera a Timoteo, i versetti 6,15-16 contengono un inno che si ricollega alla grande “litania di ringraziamento” del salmo 136; qui Paolo sta parlando di un argomento grandioso, della seconda venuta di Gesù, della parusìa che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere. A lui onore e potenza per sempre. Amen.
Sembra che, di fronte alla visione della manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, Paolo non trovi altro linguaggio adatto ad esprimere la gioia che lo pervade se non quello poetico; l’inno, con il suo ritmo, con la sua musicalità, appare il solo degno di esprimere l’eccezionalità del fatto, e il solo capace di imprimersi nel profondo della mente e del cuore di chi ascolta.
a cura di F. Stevanin


Bibliografia:
Dizionario di Paolo; Lettere di san Paolo
Bibbia di Gerusalemme
Storia della Musica
F.lli Fabbri Editori

 
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